IL PROCESSO
Le procès
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Impiegato di banca, signor K., senza un perché, è accusato da un occulto tribunale di un reato del quale non si conosce il capo d'imputazione. La prende allegra e davanti la corte, rifiuta l'avvocato, deride i giudici e, sferzante, accetta la condanna a morte.
Orson Welles stravolge il vero significato del romanzo di Franz Kafka (1924) e crea, a suo modo, un clima di straordinaria e robusta tensione, raffigurata nel senso compiuto di una visionarietà deformante, claustrofobica, di opprimente insopportabilità ansiosa. Nel suo irrazionalismo grafico, dettato dalla composizione barocca delle inquadrature, attraverso piani inclinati, soffitti abbassati, labirintici passaggi, distorsioni d'immagine, il regista pone il concetto dell'uomo qualunque posto a fronte delle ingiustizie della civiltà moderna e dei suoi governanti, veri padroni delle industrie e degli stessi esseri umani, congelati senza scampo nell'esercizio della tirannia del potere. Logica narrativa allucinata, che pone nel protagonista il dilemma dell'essere e la furibonda lotta scatenata dal proprio subcosciente, che tenta in ogni maniera di uscire dall'incubo, rappresentato dal potere mondiale che nega all'uomo la possibilità dell'errore, quindi del libero arbitrio. Oppressione pratica e vivente, dalla quale ci si può liberare soltanto attraverso la morte, come attesta il finale, deflagrato in un'esplosione nucleare. Cast internazionale, magistralmente assortito nei ruoli e nelle loro funzioni. Prologo, dopo i titoli di testa, in versione animata di 16 tavole, create dal russo Alexandre Alexeieff, con tecnica "Pointilliste", dove le immagini poste su uno spazio pieno di teste di spilli, sono ordinate in vari gradi di altezza e solo parzialmente illuminate.