Stimato regista austriaco, trasferitosi negli Stati Uniti a metà degli anni trenta. Eccellente documentarista, tecnico della cinepresa, innovativo e attento al particolare, caratterizza il suo stile in forme realiste accentuate da toni psicologici e morali in contorno a soggetti prettamente drammatici. Abile nel saper ricreare nei suoi personaggi, tutti quegli elementi caratteriali che riescono ad infondere certificata autenticità e assoluta padronanza nella disposizione narrativa sempre in tendenza alla responsabilità individuale, soggettiva e sociale. Si laurea in legge all'Università di Vienna e negli anni '20 si trasferisce in Francia dove, a Parigi, studia fotografia e cinematografia presso l'Ecole Technique. Compie i primi passi al fianco di Robert e Curt Siodmak; si specializza nel documentario e ottiene meritati successi che gli offrono la possibilità di trasferirsi negli USA, dove continua la sua attività nello short subject, settore che gli regalerà un Oscar nel 1951 per il cortometraggio Benjy. Dagli anni '40 passa alla M-G-M e nel 1942 fa il suo esordio nel lungometraggio; si assesta nel genere nero-criminale con lavori di straordinario senso pratico come Delitto al microscopio, Occhi nella notte, ma soprattutto La settima croce, Odissea tragica e Atto di violenza. Ma è nel decennio successivo che Zinnemann acquista notorietà attraverso una serie di film di successo critico e commerciale. Inizia con Uomini e poi con Teresa, di ambiente realista, per passare nel 1953 alla regia del suo film più famoso, Mezzogiorno di fuoco; western convenzionale, narrativamente piatto attraversato da una storia sin troppo prevedibile, ma sbalorditivo per l'uso temporale della descrizione degli eventi, basata sull'arco di un'intera mattinata, dove il pendolo che scandisce il tempo si rivela come soggetto principale del film. L'anno seguente realizza Da qui all'eternità, acclamato e pluripremiato kolossal semibellico - che gli consente di vincere il suo primo Oscar - interpretato da un super cast e costruito in funzione dell'attacco giapponese di Pearl Harbor, ma sostanzialmente opera di gran qualità umanistica, con valori introspettivi adattati in ogni singolo personaggio. Chiude il decennio con altri tre film rilevanti: Oklahoma! (1955) musical di straordinario impatto visivo grazie all'uso dei set esterni, Un cappello pieno di pioggia (1957) sul tema della tossicodipendenza e Storia di una monaca (1959) produzione ad alto costo di sostanza predicatoria. Negli anni '60 gira il lussuoso Un uomo per tutte le stagioni (Oscar per film e regia, suo secondo) imperniato sul tragico dibattito tra Tommaso Moro e Enrico VIII. Da qui in avanti la sua filmografia si restringe a pochi film, spesso convenzionali. Nel 1973 filma il thriller semi-storico Il giorno dello sciacallo; nel 1977, con Giulia gira l'adattamento letterario di L. Hellmann e dopo sei anni di ferma ritorna dietro la cinepresa per Cinque giorni, un estate, sua ultima fatica prodotta in un itinerario da regista lungo 60 anni. Sposato a Renee Bartlett; un figlio, il produttore Tim Zinnemann.
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