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Sigla United Artists (Charles Goodwin, 1970)



Nel 1919, gli attori Douglas Fairbanks, Charlie Chaplin e Mary Pickford, unitamente al regista D.W. Griffith unirono gli sforzi e fondarono assieme la United Artists, società inizialmente nata come produttrice ma ben presto, per continue complicazioni economiche, costretta solo alla distribuzione di film realizzati da produttori indipendenti come Alexander Korda, Walter Wagner, Samuel Goldwyn, Howard Hughes e David O. Selznick. Dopo un promettente avvio, durato circa un decennio con ottime produzioni (I tre Moschettieri, Robin Hood, Il ladro di Bagdad e Il circo), lo studios iniziò a vacillare e proprio nel momento in cui il cinema stava passando al sonoro. Malgrado ogni tentativo per poter risanare una situazione sempre sull'orlo del precipizio, nel 1935 D.W. Griffith, Douglas Fairbanks e Mary Pickford decisero di abbandonare il progetto lasciando a Charlie Chaplin il timone del comando di una nave alla deriva; il regista, infatti, pur continuando a lavorare nella produzione non riusciva mai a realizzare più di un film ogni cinque anni.


   

   







Da destra, D.W. Griffith, Mary Pickford, Douglas Fairbanks e Charlie Chaplin e , unitamente al regista
Sotto, i loghi della United Artists negli ultimi 20 anni.

Qui sotto - I marchi della United Artists utilizzati nei vari anni.








Nel periodo tra gli anni '30 e '40 lo score della United Artists era rappresentato da un incredibile numero di film, tutti assai diversi tra loro, per tematiche, contenuti, stile narrativo e genere. Dallo storico Le sei mogli di Enrico VIII si passava tranquillamente a commedie comico-musical di Broadway attraverso le interpretazioni di Eddie Cantor, per proseguire con i noir, primo tra tutti Scarface e poi alcuni neri di Hitchcock (Rebecca, Io ti salverò) e altri pregevoli lavori di William Wyler (Infedeltà, La voce nella tempesta). Alla lista si aggiunsero, sempre nel tentativo di non sprofondare, tutta una serie di film a costo zero e b-movie di scarso successo.
Nel 1951 Arthur Krim e Robert Benjamin subentrano alla guida del gruppo, ma la situazione di stallo si estese a tutti gli anni cinquanta e sessanta, dove la sola ragione che ancora permetteva alla UA di restare a galla era determinata sempre più dalla distribuzione che non dalla propria produzione. Lo studios decise di puntare su film diretti da registi emergenti come John Sturges, Stanley Kramer, Norman Jewison e Robert Aldrich e in questo caso i risultati iniziarono a farsi sentire. West Side Story fu un gran successo nel musical d'inizio anni '60, cui seguirono altri film di carattere innovativo, impegnati nel sociale, nella cronaca e nell'antirazzismo (La parete di fango, L'ultima spiaggia, Il caso Thomas Crown) e Robert Broccoli riuscì con un milione di dollari ad assicurarsi l'intera serie di James Bond. Negli anni '70 la presenza di Woody Allen (Manhattan), Bertolucci (Ultimo tango a Parigi) e Milos Forman (Qualcuno volò sul nido del cuculo) fece sì che le finanze si riassestarono, non proprio definitivamente ma in maniera più che accettabile.


Sede degli stabilimenti della United Artists in una foto fine anni trenta.

La compagnia prese coraggio, ma nel 1980 la distribuzione del film di Michael Cimino, I cancelli del cielo (circa 50 milioni di dollari di budget) segnò la definiva bancarotta; il film, un disastro al box-office, costrinse la UA alla resa. Intervenne repentinamente la Metro-Goldwyn-Mayer, la quale con un'operazione d'accorpamento riuscì a salvare lo studios dalla sparizione. Da questo momento il gruppo M-G-M/UA sempre nel campo della distribuzione, espande la sua attività al mercato Home-Video surrogata da altre società di affiancamento come la Sony e la Texas Pacific Group. Nel 2006 l'attore Tom Cruise e la sua parten Paula Wagner firmano un accordo che gli consentirono di interagire al gruppo con un numero di attori associati e filmmakers indipendenti, con ricavo del 65% degli incassi dal mercato vendite e del 30% per quello al botteghino, lasciando la distribuzione alla M-G-M e alla nuova United Artists.




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Kolossal a confronto - 2002