Cast: Michel Simon,
Dita Parlo,
Jean Dasté,
Gilles Margaritis,
Louis Lefebvre,
Maurice Gilles,
Raphaël Diligent
Sceneggiatura: Jean Vigo Albert Riéra (dal soggetto di Jean Guinée)
Fotografia: Boris Kaufman, Louis Berger, Jean-Paul Alphen
Musica: Maurice Jaubert
Giovane coppia di sposi scelgono di vivere su una barca di proprietà del marito, assieme a un marinaio di bordo, un mozzo e un paio di gatti. Lei si annoia, anche per la pressante gelosia di lui e un giorno fugge a Parigi, pensando di trovare chissà quale attrazione. Il marito, depresso, si isola, poi la cerca e la trova ancora più innamorata di prima. I due tornano a vivere sulla chiatta e questa volta felicemente.
Inedito in Italia come in altri paesi, è, dopo Zero in condotta (1933), il secondo e ultimo lungometraggio (dopo i corti A proposito di Nizza del 1930 e Taris, ossia del nuoto, 1931) del surrealista Jean Vigo, morto ventinovenne a lavorazione del film non ancora terminata, portata a termine dal tecnico del montaggio Louis Chavance con oggettive discrepanze rispetto all'idealismo di Vigo. Interamente girato, in pieno inverno, in un fiume, film di atmosfere ribelli, centrato in un disegno visionario tendenzialmente poetico, caratterizzato da sogni, utopie e sensi di rivolta, concretamente esposto in stile realistico, dove l'inno all'amore viene rappresento al culmine di una perfetta gaiezza. Fu un fiasco totale al botteghino e la copia originale andò persa nel 1941, come la successiva del 1952. Soltanto nel 1990, recuperati pezzi di pellicola sparsi nel mondo, fu possibile ricostruire il film avvicinandolo, ma non totalmente, alla versione originale. In Italia, la sequenza del sogno, fu utilizzata da Enrico Ghezzi e Marco Giusti come sigla del format notturno "Fuori orario" di Raitre.
Lo scandalo
Inizialmente considerato anti-francese e offensivo alla morale pubblica, fu modificato dai produttori nella struttura dei personaggi, soprattutto in quella del marinaio di bordo, considerata estremamente controversa. La censura impose numerosi tagli e la Gamount le andò dietro eliminando in sede di montaggio 18 minuti del finale e due scene; la prima dove si vedono due mani mozzate poste in una pinta e l'altra, quando il protagonista fa fumare la donna distesa sul suo ventre. Inoltre, cambiò il titolo del film in Le chaland qui passe, ricavato da una nota canzone dell'epoca, "Parlami d'amore Mariù", anche questa eliminata dalla censura perchè considerata provocatoria nel contesto narrativo.