Tre esperti antropologi si recano nell'Amazzonia colombiana per studiare da vicino una tribù ancorata al rito del cannibalismo. A proprie spese riescono nell'intento.
Sulla scia di Cannibal Holocaust (1979) di Ruggero Deodato, altro splatter all'insegna del sadismo viscerale, ripetutamente mostrato in tutta la sua vena repellente. La storiella è di una facilità che supera il banale, le situazioni stomachevoli viaggiano a ritmo adrenalinico, la direzione degli interpreti è dir poco patetica, la costruzione narrativa è involontariamente risibile, girata e rigirata in volumi che passano dal cannibalismo tribale allo spaccio di cocaina internazionale. Gli attori, o pseudo tali, tutti reclutati dalle fermate dei bus alle sale d'aspetto delle stazioni ferroviarie, si americanizzano il nome per tentare il salto (nel vuoto). Umberto Lenzi, assai bravo nel poliziottesco all'italiana, qui vola molto basso. Filmato il lingua inglese per il mercato anglo-nord-americano.

Lo scandalo
Sono quattro le scene scabrose dove la censura è intervenuta con tagli totali di circa 8 minuti: 1) l'evirazione del pene poi mangiato da un indigeno 2) il cranio scoperchiato di un prigioniero con conseguente decapitazione 3) la tortura della donna, appesa a un albero agganciata con due uncini ancorati sulle zizze 4) la violenza sugli animali (veri) con particolare riferimento alla sequenza delle testuggini. In Italia fu alzato il divieto, dai minori di 14 anni ai 18, compresa l'edizione in videocassetta, dopo che ben 34 nazioni rifiutarono di importalo nei propri circuiti cinematografici.

Clamore dello scandalo:  

(Minimo: Medio: Massimo: )