In un lager nazista, ebrea internata diventa kapo (o kapò), guardiana di altre prigioniere. L'amore di un detenuto russo la redime.
Gillo Pontecorvo fa un film dentro l'Olocausto, con scarso approfondimento etico e di poca vena accusatoria nei confronti del più tragico evento della storia dell'ultimo secolo. Più improntato al sentimento e di conseguenza al melodramma, si manifesta attraverso l'attenta costruzione di una forte figura femminile, sola ragione d'essere di un lavoro complessivamente di minima persuasione. Vale per l'assunto tragico-romanzato, per le squisite interpretazioni e una pregevole ricostruzione ambientale.
Lo scandalo
Alla sua uscita non mancarono polemiche e stroncature critiche, per alcune scene considerate di spietata crudezza, soprattutto quella al riguardo della carneficina finale. Gianni Rondolino, storico cinematografico, sulle pagine de La Stampa scrisse che "…il film si affida più alla condizione tragica umana piuttosto che alla formulazione morale…". Gian Luigi Rondi su Il Tempo, lo definì "…di tematica ormai stancante e fuori del tempo…". Ma le critiche maggiori arrivarono dalla Francia, addirittura attraverso un trattato, scritto dal regista Jacques Rivette, nel quale è riportato il grande disappunto per la scena in cui Emmanuelle Riva si lancia suicida sul filo spinato e la carrellata che segue il corpo ormai privo di vita; sequenza giudicata "…morbosamente pornografica in tema di spettacolarizzazione della morte…". Censura e distribuzione eliminarono congiuntamente 12 minuti di girato relativo a scene considerate eccessivamente scabrose. Fu vietato ai minori di 16 anni.
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